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Pensieri e parole al ritorno dal campus in Haiti

 

Le bellissime testimonianze, al rientro in Italia, dei volontari che hanno partecipato al campus di lavoro in Haiti che si è svolto dall'1 al 13 luglio.

 

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"Un'esperienza che sicuramente cambia lo sguardo e l'approcio alla vita.

Una parte di noi rimarrà ad Haiti ma al tempo stesso Haiti con i suoi bambini, i loro sorrisi, le emozioni, la generosità di chi non ha niente, la povertà, la morte che fa tanto paura all'occidente, la forza di volontà di chi ogni giorno lotta per sopravvivere, ce la portiamo via con noi...e poi ci siamo noi, 12 estranee che oggi  si sentono "sorelle".

 

 

"Triste dover accettare e rendersi conto di ciò che si è vissuto pensando di doverlo lasciare troppo in fretta, per tornare ad una vita che quasi si è dimenticata. Sono due settimane vissute su un altro pianeta, un luogo lontanissimo ed inimmaginabile. "L'isola che non c'è": così chiamerei la mia Haiti, quella che ho visto io, che ho vissuto tra gioie e paure, che ho amato e che mi ha irritato per i tanti perché senza risposta, che mi ha fatto percepire la bontà umana, la spontaneità, l'amore per il prossimo.

"L'isola che non c'è" perché è una realtà di cui quasi nessuno parla, una situazione forse troppo dura da digerire e perciò spesso accantonata. È ad Haiti che ho lasciato il cuore, è Haiti che mi ha regalato sorrisi, amore, abbracci, forza e tanta tanta tanta voglia di non arrendersi mai!"

Anna, 16 anni

 

"Haiti è stato molto più di quanto mi aspettassi per diversi motivi: me stessa, i partecipanti,  l'ambiente.

Io, dura come il carapace della tartaruga, coriacea e sfiduciata sono riuscita a tornare in contatto col mio cuore ad aprirmi e parlare senza timore di essere fraintesa o giudicata, ad abbracciare e farmi abbracciare in senso fisico e metafisico.

I partecipanti così variegati per natura ed età ma così compatti nel lasciarsi prendere e diventare tavola di risonanza per l'amore incondizionato che aleggiava nell'aria polverosa in ogni istante della giornata, veramente senza tempo. Una specie di magia.

Il luogo. Oggi capisco che non se ne può parlare senza esserci stati e apprezzo e comprendo solo ora la tua abilità di non rispondere. Il vento caldo e polveroso che sa di arsura,l'odore acre dei fuochi per strada, il tanfo di morte che ti rivolta lo stomaco, il graffiare della plastica sui sassi delle strade, rumori che non sono mai dolci — la lamiera sconquassata dei camion, i richiami delle donne nelle vie, la voce del Muezzin, i vagiti dei bambini — tutto sembra crudele quasi infernale. Poi entri in un giardino, o volti l'angolo di una strada disastrata, o varchi la soglia di una casa e capisci che lì c'è il paradiso. Non ho mai visto tanti sorrisi così aperti sinceri irresistibili anche dalle mamme con in braccio bimbi gravemente ammalati. Non si tratta di gratitudine è la serenità di chi sa che non ha niente da perdere e nulla da sperare di chi convive con la morte ogni giorno della sua vita e pertanto vive veramente per quello che ha dando tutto quello che possiede, cioè la sua voglia di vivere.

Mi porto dentro l'immagine di padre Rick con l'aureola di un raggio di sole e il canto di uno degli uccellini dell'ospedale St. Damien sul ramo d'oleandro alle sue spalle: per un attimo ho creduto davvero, ho provato una pace che spero resti mia.

Anna, 60 anni

 

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Canale Notizie - 18-07-2014 - Segnala a un amico


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