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Dall'1 al 12 agosto si è svolto in Haiti il secondo campus estivo di volontariato. Ecco le foto e le testimonianze dei volontari.

 

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Dall'1 al 12 agosto un gruppo di 15 volontari, accompagnati e coordinati dalla nostra vicepresidente Maria Chiara Roti e dallo storico volontario Gianluca, ha preso parte al secondo campus estivo di volontariato organizzato ad Haiti dalla Fondazione Francesca Rava.

 

LEGGI QUI LE BELLISSIME TESTIMONIANZE DEL PRIMO GRUPPO CHE HA PRESO PARTE AL CAMPUS DI LUGLIO.

I volontari, oltre ad aver visitato le strutture sostenute dalla Fondazione, hanno aiutato e affiancato lo staff locale: hanno spazzato pavimenti, svolto piccoli lavoretti di giardinaggio per decorare ed abbellire lo spazio verde che circonda l'Ospedale pediatrico NPH Saint Damien, giocato con i bambini della Baby House Sainte Anne, assistito i piccoli pazienti dell'Ospedale, dipinto le numerose bare di cartone realizzate con materiali riciclati dai ragazzi di Padre Rick e che vengono utilizzate per poter dare degna sepoltura ai corpi senza vita che ogni mattina affollano la Cappella che sorge accanto all'Ospedale e per i quali Padre Rick celebra i funerali.

 

Ecco le prime testimonianze e foto del campus:

 

"Ho visitato Haiti la prima volta lo scorso ottobre e non vedevo l'ora di ritornarci. Là avevo lasciato il mio cuore e la consapevolezza che rivivere Haiti era parte di me e del mio attuale cammino di vita. Ad Haiti ho affrontato situazioni che mai in Italia avrei pensato di vivere.

Ho trascorso quindici giorni, fisicamente molto impegnativi e carichi di emozioni contrastanti, con un gruppo di persone meravigliose.

Ringrazio la Fondazione Francesca Rava che ci permette di vivere queste esperienze in un clima di assoluta protezione e serenità.

Ringrazio padre Rick e tutto quanto ruota attorno N.P.H., ossia uomini, idee, progetti e la tanta speranza che respiri in ogni luogo.

Sono felice di come ho vissuto questa seconda esperienza, dando tutto quello che potevo e portandomi a casa ancora di più!

Ho ritrovato tutti i bimbi con i loro sorrisi e la voglia di fare.

Ho potuto trascorrere qualche giornata con Samiel, il bimbo che ho adottato a distanza subito dopo essere rientrata in Italia lo scorso ottobre.

Quale gioia per noi, per me e mia figlia Carlotta, di 22 anni e che mi ha accompagnata in entrambi i viaggi, e per Samiel poter stare un po' insieme e finalmente conoscerci meglio! E' un amore di bimbo e l'ho visto felice e spensierato nei giorni trascorsi all'orfanotrofio a Kenscoff.

Le altre giornate le abbiamo trascorse aiutando Padre Rick: dipingendo le bare di cartone per seppellire i morti abbandonati, scavando buche per piantarci poi delle bellissime piante per adornare ed abbellire l'ospedale St. Luc; sul momento non capisci le richieste di padre Rick ma, una volta ultimati i lavori ti rendi conto che ogni cosa che quest'uomo dice e fa ha un preciso scopo ed un senso!

Ho anche rivissuto la giornata alla Morgue, l'obitorio dell’ospedale generale dove tutti i giovedì  padre Rick raccoglie cadaveri abbandonati, li depone in bare costruite con cartone riciclato, li accompagna nel loro ultimo viaggio e dà loro una degna sepoltura. E' sempre un'esperienza molto forte ed ero ansiosa di riviverla perchè la prima volta mi aveva trasmesso sensazioni comunque positive. Ero serena e nonostante il clima pesante che si respirava ho avvertito e percepito sempre una grande energia d'amore.

Grazie padre Rick per quello che fai, grazie ai tuoi ragazzi per l'esempio che ci trasmettono.

Il resto delle mie giornate le ho trascorse all'ospedale pediatrico St.Damien. Le prime volte ci sono andata per dedicarmi ai bimbi abbandonati nella stanza denominata "Stanza dei pesci". Ero ritornata ad Haiti anche per loro. Li ho ritrovati in buone condizioni, cresciuti, accuditi e amati.

Poi padre Enzo, il nuovo prete italiano che da qualche mese affianca padre Rick, ci ha invitato a conoscere un'altra realtà del St.Damien: i ragazzi di St. Simon, bimbi ed adolescenti disabili che dopo aver subito un primo abbandono da parte dei loro genitori, sono stati abbandonati anche dall'Ospedale pubblico generale; solo l'Ospedale St Damien e padre Rick hanno dato loro una  giusta accoglienza.

L'impatto con questa realtà è stato molto forte e non pensavo sarei riuscita a rimanere con loro seppur per una breve visita.

In loro ho visto solo abbandono e tanta tristezza.Ho provato un immenso dolore dentro di me,incredulità,ero sconcertata!

Pensavo di non poter reggere quello che stavo vivendo.Dopo circa un'ora ho salutato e sono uscita ma una delle assistenti con un gran sorriso mi ha detto "a la prochaine" e li ho capito che  dovevo e potevo farcela e così poi sono tornata a trovarli ogni giorno.

Ogni giorno mi recavo al St.Damien pensando di andare nella stanza dei pesci e poi mi ritrovavo da quegli undici bambini che ho definito sin da subito "gli ultimi degli ultimi", ma che proprio per questo mi avevano conquistato. Non è stato facile, ma piano piano ognuno di loro mi ha dato e trasmesso qualcosa, nessuna parola, solo sguardi, qualche abbraccio, una manina che stringeva la mia o semplicemente dei versi. Ho cercato di immaginare le loro tristi storie, un percorso di vita sfortunato ma comunque un'anima e un senso di vita.

Al St.Damien hanno trovato accoglienza, un letto, cibo. Padre Rick e la Fondazione stanno lavorando per dare loro una casa ancora più bella, cure e terapie adeguate ed ogni aiuto da parte nostra è sempre prezioso."

Silvia

"Ho deciso di andare ad Haiti perché ero stanco della modernità e della superficialità della vita che facevo in Italia. Avevo bisogno di prendere coscienza dei veri bisogni e necessità che una vita ha bisogno. Sono partito con molte aspettative, ma non mi aspettavo che venissero di gran lunga superate. Ho giocato con i bambini, costruito tendoni per l 'Ospedale pediatrico Saint Damien, fatto lavori di giardinaggio, cacciato conigli, partecipato a funerali e a matrimoni, ho visitato l'ospedale, ho dialogato e ballato con la gente del posto, imparato il creolo e inventato parole in francese e inglese, ho gesticolato, cantato, cucinato, nuotato, suonato e fatto nuove amicizie.

Mi sono aperto con Haiti e Haiti mi ha colmato. Haiti per me è stata una scoperta: basta davvero poco per far del bene e vedere il cambiamento davanti ai tuoi occhi, in te e nelle persone che ti circondano.

Vorrei ringraziare tutti i bambini e i loro sorrisi, la Fondazione Francesca Rava che mi ha permesso di fare questa esperienza e, infine, tutto il gruppo di volontari che ha lavorato con me. Grazie Haiti, a presto.

Umberto

 

"Haiti. Una realtà completamente diversa da qualunque altra realtà contemplabile. Una realtà che, una volta scoperta, rimane più impressa di quella in cui normalmente si vive. Una realtà cruda, viva, vera, la più vera che esista. Ma una realtà di cui, non appena capisci, comprendi e conosci, ci si innamora e da cui non ci si vorrebbe più allontanare.

Haiti è questo. È vita, è morte, è pianto, è gioia e dolore, riflessione, emozione, risate, stupore, novità.

È capire che la tua vita, che sembrava così piena di problemi, non fa tanto schifo, dopo tutto. Perché un solo sorriso di uno di quei bambini può cambiare per sempre la tua vita, o almeno il modo di guardarla. Non è solo aiutare gli altri, ma è un dare per ricevere continuo, scoprendo che questo fa del bene soprattutto a se stessi.

Haiti è spiritualità, quella più sincera e profonda, che va oltre qualunque religione, ma penetra nel cuore di chiunque ne abbia uno. È un rinascere continuo, ogni giorno, è un sentirsi piccoli, ma incredibilmente forti e utili.

È un crescere insieme, è un coltivare amicizie, anche le più inaspettate, capendo che, nonostante l’età, il colore della pelle e i gusti personali, sentiamo tutti un forte bisogno: quello di condividere. Condividere amore, donare parte di se stessi al prossimo ed esserne fieri.

Haiti è non stupirsi più di niente, averle provate tutte, non avere più paura della morte. Perché la morte c’è, è presente ovunque intorno a noi, ma non bisogna temerla. Il macabro non fa più impressione. Stare davanti alla morte, sentirne l’odore e intanto cantare per esorcizzarla, ti fa sentire vivo, ti rende immortale. Quanto valore ha una vita? Un valore infinito che si comprende solo nell’istante della morte e questo l’ho scoperto solo ad Haiti.

Haiti è anche musica, e qui la musica unisce la vita alla morte, l’uomo a Dio, alla pace dei sensi.

Haiti è mare e montagna, è caldo infernale, è tre docce al giorno per sopravvivere, è sempre pollo e riso, è insetti, ragni e topi.

È la lezione di creolo dopo pranzo, è “se tou pu jodia”, è le treccine della bambine e le loro perline nei capelli.

È gli abbracci dei bambini, i loro sguardi emozionati alla vista del mare o di una macchina fotografica, è ridere di gioia, è sentirsi amati.

Haiti è capire di essere diventati parte di loro quando non distingui più il tuo odore dal loro, quando i pannolini bagnati dei bimbi della Baby House Sainte Anne, che accoglie 40 bambini dai 0 a 5 anni, non è più un problema. È pian piano riconoscerli uno ad uno e ricordarsi i nomi di tutti.

È incantarsi davanti a un ragazzo che suona e canta e vedere intorno a lui bimbi col ritmo nel sangue muoversi a tempo di musica che neanche Michael Jackson.

Haiti è anche ballare il kompa scambiandosi il partner.

È venire assalita a Citè Soleil, lo slum più povero di Port au Prince, da dodici bambini alla volta che fanno a botte per vedere chi avrà l’onore di stringermi la mano.

È commuovermi nel vedere l’educazione di bambini che hanno meno dei nostri, gli abbandonati dai genitori e poi accolti all'Ospedale Saint Damien, con sguardi spenti, tristi o assenti da lacerarti il cuore e l’allegria che nasce nel cuore di ognuno di loro alla vista di un volontario.

È vedere una povertà straziante e trovare un popolo ancora capace di sorridere. Haiti è fare un viaggio alla scoperta di un popolo e ritrovare se stessi.

È capire che è davvero inutile lamentarsi per cosa non abbiamo, quando c’è gente che, pur non avendo niente, si accontenta di un sorriso regalato.

Questo è Haiti. E non c’è modo migliore per sentirsi più utile, apprezzata, amata di così. Andare ad Haiti vuol dire diventarne parte, assimilare in tutto e per tutto quel poco che ha da offrire e goderne per l’eternità, lasciarci il cuore e tornare completamente svuotata."

Alice, 18 anni

Canale Notizie - 27-08-2014 - Segnala a un amico


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